Insegnamento della storia e processi di memorizzazione

Martedì, 9 settembre, 2014 IIMA
ha partecipato al Panel sull’insegnamento della storia e sui processi di memorizzazione
durante la 27° Sessione del Consiglio dei Diritti Umani a Ginevra. Il Presidente
del HCR (Baudelaire Ndong Ella) ha aperto la seduta dando la parola a Flavia Pansieri
(United Nations Deputy High Commissioner for Human Rights) che ha introdotto i
due report di Pablo de Greiff (the Special Rapporteur on the promotion of
truth, justice, reparation and Guarantees of non-recurrence).
Nel primo l’autore ha
sottolineato come in molti Paesi, la storia diffusa nelle scuole non sia la
stessa, vi sono interpretazioni differenti e anche l’educazione legata ad essa
cambia. Soprattutto nei Paesi che vivono in situazioni di conflitto, i governi
e i regimi autoritari strumentalizzano la storia, per diffondere l’idea della
guerra come qualcosa di normale, insito nella educazione e nella cultura di un
popolo, e istigare alla vendetta. Ha evidenziato come questi sono i veri
ostacoli alla creazione della pace o al mantenimento di essa. Nel secondo,
invece, ha sottolineato, la necessità di rimembrare il passato per ricordare le
vittime, quasi come compensazione per le gravi violazioni dei diritti umani
subite e per garantire che non si ripetano. Istituire dei musei e dei giorni di
commemorazione che facciano riflettere e immedesimarsi.
Flavia Pansieri ha presentato i
due report dicendo che spesso l’interpretazione della storia viene usata e
distorta dalla propaganda politica, creando l’illusione che il conflitto tra
due Stati sia normale e ponendo le basi per i conflitti futuri. La condizione
necessaria per approcciarsi alla storia è la criticità: analizzare in maniera
critica le diverse interpretazioni per capire il presente e i cambiamenti
contemporanei. Si devono incentivare le opportunità di confronto con gli altri,
utilizzare gli strumenti quali la fotografia, l’arte, le accademie e il
giornalismo per ricordare i grandi eventi del 20^ secolo, per capirli e
commemorarli.
A questo punto intervengono gli
esperti: Marie Wilson (Commissioner, Truth and Reconciliation Commission of
Canada on residential schools for aboriginal peoples), ha spiegato come memorie
diverse creino realtà parallele, rendendo molto difficile raggiungere la pace. Ha
sottolineato anche come una guerra possa essere vista allo stesso tempo come un
atto di libertà o di conflitto.  Sami
Adwan (Professor of Education and Teacher Training, Hebron University, State of
Palestine) ha detto invece che un buon modo per evitare tensioni sociali (ex. I
conflitti in Israele e in Palestinina) è dare spazio a entrambe le storie e far
sì che le insegnanti utilizzino un approccio educativo che tenga conto delle
differenti prospettive. Dubravka Stojanovic (Professor of History Departement,
Faculty of Philosophy, Belgrade University, Serbia), ha evidenziato come dai
cambiamenti culturali si possano comprendere le diverse interpretazioni della
storia, senza dimenticare che il dibattito è sempre il modo migliore per
leggere il passato. La parola è passata agli Stati. L’Etiopia (parla per il Gruppo
Africano) ha riconosciuto il rischio nei paesi che hanno vissuto conflitti e
guerre che la storia sia interpretata diversamente dalla forze politiche e
soprattutto dai regimi autoritari. L’Algeria, così come la Sierra Leone e l’Armenia
hanno enfatizzato, invece, l’importanza della commemorazione delle vittime del
passato attraverso i musei come il Peace Museum, il Memorial Garden Museum e quello
sul Genocidio.
Ricapitolando si può dire che la
storia non è una, non è solo quella scritta sui libri o raccontata da una voce “potente”,
ma sta nel sangue delle vittime, nelle parole non dette, nelle persone, la
storia è ovunque.