Religione, business e diritti umani: il punto di vista di una stagista

Tra il 15 e il 19 ottobre il Gruppo di Lavoro sulle società transnazionali e altre imprese commerciali e il rispetto dei diritti umani ha lavorato a Palais des Nations alla creazione di un trattato internazionale vincolante sulle imprese transnazionali. È un tema scottante: se l’obiettivo fosse raggiunto si stabilirebbero degli obblighi per gli stati rispetto dei diritti umani nel contesto delle aziende transnazionali.

In corrispondenza con la sessione del Gruppo di Lavoro, mercoledì 17 ottobre è stato organizzato un side event da Franciscan International, Caritas Internationalis, Misereor, CIDSE, CAFOD, Fastenopfer e Brot für die Welt dal titolo “High-level religious voices for a future treaty” con l’obiettivo di integrare al dialogo esistente il punto di visto della Chiesa.

Nonostante il poco tempo a disposizione, l’intensità degli interventi mi ha molto colpito e mi piacerebbe raccogliere alcuni pensieri e riflessioni sull’esperienza vissuta.

L’istinto si prende subito la sua parte: ascolto i relatori e immediatamente mi sembra di essere catapultata in Ecuador, in Guatemala e in Brasile tra la gente vittima di violenze e ingiustizie. Quasi non mi sento in diritto di sentirmi così, io che non ho mai attraversato l’oceano Atlantico e che vengo proprio da quella parte di mondo che da secoli antepone con prepotenza i propri interessi a quelli dei locali.

Apre la giornata Luis Gallegos Chiriboga, ambasciatore dell’Ecuador e presidente del Gruppo di Lavoro impegnato nella sessione in questi giorni. Sostiene una causa impopolare negli ambienti di potere, si mette dalla parte di chi ha perso, di chi è vittima. Si spinge addirittura a parlare di ragione morale dietro il suo lavoro, dando uno scossone al paradigma per cui “la billetera es más importante que los derechos humanos”. Me lo immagino un po’ come un don Chisciotte sudamericano, con una differenza importante però dal collega iberico: lui lo sa bene che quelli contro cui sta lottando sono mulini a vento, una battaglia che sembrerebbe impossibile vincere, ma la consapevolezza della sfida aiuta a combattere usando le armi più adatte.

Ricordo di aver notato che nel sito dell’OHCHR è già presente il programma del Working Group per il prossimo ottobre: la discussione si ripeterà sugli stessi articoli affrontati in questi giorni. A cosa serve continuare a incontrarsi se già si sa che sarà necessario ripartire da capo il prossimo anno? Sono scettica, ma Gallegos mi sorprende dicendosi ottimista per il futuro: crede che prima o poi il trattato verrà accettato e chi oggi soffre tornerà a sorridere.

Subito dopo di lui, Álvaro Leonel Ramazzini Imeri da Huehuetenango, Guatemala. Raccontando del suo paese emerge una situazione di disuguaglianza sociale, sfruttamento, persecuzione dei difensori di diritti umani e conflitto armato.

Fa riferimento a politiche macroeconomiche che escludono, alla migrazione inarrestabile e a interi popoli indigeni ignorati e lasciati a sé stessi, dopo essere stati privati dei loro beni materiali (nota bene, “beni materiali” e non “risorse”, quelle le lasciamo a chi pensa solo al profitto). È dal 1957 che il Guatemala vive e subisce violenze e ingiustizie e mi aspetterei un uomo cauto e rassegnato, invece ho di fronte una persona che non si piega e non risparmia critiche a nessuno: dal governo alle società idroelettriche, dall’economia neoliberale all’amministrazione guatemalteca. Mi affascina e mi sfugge allo stesso tempo: quando parla del popolo e dell’ambiente sembra stia parlando della propria famiglia, io però vorrei sapere di più, capire di più.

“El Evangelio non es diplomático: no puedes servir a Dios y al dinero!No hay peor lucha que la que no se hace, y si no la combatimos somos cómplices. Yo quiero cargar vuestras consciencias porque yo mismo la tengo cargada”. Ascolto e annoto, che forza in queste parole!

Segue l’intervento di Ralf Häußler, rappresentante della Chiesta Evangelica Luterana. Il suo intervento passa un po’ in sordina perché a parlare non è la passione sudamericana, ma razionale analisi tedesca. C’è però un pensiero fermo: la Chiesa deve lavorare per nutrire e rafforzare il multilateralismo. Nel suo contributo fa continui riferimenti alla bozza del trattato e ai passi intrapresi dal suo governo e, in parallelo, dall’Unione Europea.

Trovo che la sua posizione sia coerente e la apprezzo: non dobbiamo farci una colpa di essere parte del “mondo sviluppato”, è più utile capire da dove veniamo e dall’interno spingere per un miglioramento. Questa rispettosa vicinanza nel sentire mi fa anche per un attimo pensare a una vera identità europea che non si copre di propaganda o di ipocrisia, ma che è davvero condivisione di storia valori.

L’ultimo dei relatori è Monsignor De Witte, da Ruy Barbosa, nel nord-est del Brasile. Per lui la vita di missionario è composta da due elementi necessariamente legati: da una parte il lavoro sull’identità cristiana e dall’altra la partecipazione alla creazione di una società giusta, perché ognuno possa vivere in dignità.

“Terra, Teto e Trabalho”, queste le necessità dei indigeni. Non sta raccontando storie sentite, ma storie vissute in prima persona e condivise con i popoli dell’Amazzonia. Per lui significa “essere a servizio della vita” e trovo che siano terribilmente vere, in modo nuovo per me.

Sulla strada verso casa ripenso all’incontro e sento che manca qualcosa: qual è davvero il ruolo della Chiesa in questi contesti? Ho la sensazione di aver avuto a pochi metri da me degli uomini eccezionali, che il “Laudato Si’” ce l’hanno nel sangue e che hanno mostrato il volto più vero della Chiesa. Una Chiesa che non scende a patti con il potere ma che per definizione si mette dalla parte del più povero e del più vulnerabile, nonostante tutto.

Allo stesso tempo però penso che sia rimasto troppo di non detto: come vive un monsignore il delicato ruolo di essere a servizio degli ultimi e allo stesso tempo in dialogo con le istituzioni?

Non so trovare una risposta, ma questa mi sembra l’unica via possibile per non tradire il Vangelo ed essere Chiesa credibile.